La decisione controversa di adottare le auto elettriche come unico mezzo per raggiungere la decarbonizzazione e la crisi affermata dell’industria automobilistica europea sono solo alcuni dei motivi per cui l’Unione Europea dovrebbe rivedere la sua politica in questo settore, soprattutto considerando le perdite occupazionali che ne derivano. Per affrontare queste sfide, la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato l’avvio di un dibattito strategico a partire da gennaio per sostenere l’industria automobilistica in un periodo di grandi cambiamenti, invitando tutti i principali attori del settore a partecipare e concentrandosi sull’innovazione e su “un approccio tecnologico flessibile”. Tuttavia, secondo Giuliano Noci, vicepresidente del Campus cinese del Politecnico di Milano, questa soluzione potrebbe non essere efficace se l’UE non comprende che è in corso una rivoluzione che sta cambiando radicalmente le regole del settore manifatturiero: è necessario modificare sostanzialmente il modo in cui produciamo e sosteniamo questa trasformazione, non solo nel settore automobilistico.
Ursula von der Leyen ha annunciato un dialogo strategico sull’industria automobilistica europea che inizierà a gennaio. L’UE si è resa conto di aver commesso un errore e che la nostra industria è in pericolo?
Esistono motivazioni politiche ed economiche dietro questa iniziativa. Il Green Deal e la spinta verso l’auto elettrica sono stati il risultato del sostegno ricevuto dai Verdi nella scorsa legislatura. L’UE ha lanciato un piano molto ambizioso, pagando un debito politico e seguendo una tipica astrazione che talvolta prevale nell’UE. Ora il sostegno è cambiato, è politicamente diverso e von der Leyen è costretta a fare marcia indietro, accelerata dalla situazione economica in cui si trova l’industria manifatturiera, in particolare quella automobilistica, con le aziende tedesche e non solo in difficoltà.
In questo dibattito sul futuro europeo si coinvolgono grandi aziende, sindacati e tutti gli attori del settore. Non si poteva organizzare una concertazione simile prima, mettendo sul tavolo tutti i problemi del settore? Abbiamo perso tempo?
Sì, ma in realtà la questione è culturale. L’idea di settore industriale, così come l’abbiamo interpretata fino ad ora, non è più sostenibile. Nell’automotive europeo, sono gli assemblatori a cercare di cambiare l’essenza dell’automobile; in Asia, al contrario, i giganti del digitale lavorano insieme agli assemblatori sulle auto del futuro. Il problema non è la concertazione tra i diversi attori dell’automotive, ma il cambiamento culturale che apre a sistemi manifatturieri più estesi e integrati, dove il mondo digitale gioca un ruolo cruciale.
Alla fine, cosa sta realmente accadendo?
Le auto sono diventate dispositivi connessi, e le infrastrutture di connessione, così come il software e l’interazione macchina-strada, sono essenziali. Non hanno nulla a che fare con l’eredità meccanica tradizionale. Volkswagen è un esempio. Il punto chiave è che l’Europa, culla del manifatturiero, in questo momento di trasformazione deve affrontare un cambiamento epocale: le pratiche consolidate ora non sono più adatte, la nostra forza diventa un ostacolo. Non abbiamo bisogno solo di riunire il mondo dell’automotive, ma di creare le condizioni per un cambiamento culturale.
Quali sono quindi gli elementi su cui dovrebbe lavorare la von der Leyen?
Il primo punto è la deregolazione. In Europa tutto è eccessivamente burocratico e lento. I costi e i tempi del cambiamento sono molto alti. Questo è cruciale anche perché, quando si cambia, non sempre si ottengono i risultati sperati al primo tentativo. È necessaria una grande operazione per eliminare una serie di ostacoli concettuali e burocratici accumulatisi nel tempo. Il secondo punto è promuovere grandi investimenti nelle competenze del capitale umano. Il terzo elemento fondamentale, infine, riguarda il settore finanziario.
In che modo?
A differenza degli USA, la finanza privata non gioca un ruolo significativo: abbiamo banche molto piccole. Esiste una finanza completamente irrilevante, incapace di supportare in modo strutturato operazioni di cambiamento dei grandi player.
Il tentativo di fare marcia indietro e di cambiare strategia, quindi, parte già con difficoltà?
Sì. Sono necessari interventi sistemici, non possiamo svuotare l’Oceano Atlantico con un cucchiaino. Ci troviamo di fronte a una trasformazione impressionante.
Von der Leyen parla di un approccio tecnologico aperto, alludendo alle drastiche decisioni prese sull’auto elettrica, che secondo l’UE saranno le uniche a essere prodotte dal 2035. Non è sufficiente cambiare linea su questo?
Non è una soluzione adeguata. Se pensiamo che l’automotive sia in crisi solo perché non siamo capaci di produrre auto elettriche, stiamo sbagliando obiettivo. La crisi è iniziata perché non sappiamo produrre gli “smartphone su quattro ruote” che sono le auto di oggi, siano esse elettriche o meno. Inoltre, l’auto è un prodotto costoso e quindi anticipa altre crisi. In Germania, Italia e, in parte, in Francia, la competitività è stata mantenuta comprimendo i salari, con una perdita di potere d’acquisto nel tempo.
Se è necessario cambiare l’approccio alla produzione, questo vale non solo per l’automotive. Anche altri settori dovranno fare questo cambio culturale?
Esattamente. L’automotive è solo un indicatore di un fenomeno molto più ampio. È stato il primo settore a mostrare chiaramente tutto ciò a causa della complessità del prodotto auto e del suo costo. L’Europa deve riflettere profondamente su questa eredità manifatturiera, che può essere mantenuta ma cambiando completamente approccio.
Ora che i cinesi hanno già cambiato direzione, dobbiamo imparare da loro?
Hanno avuto il vantaggio di partire senza dover fare i conti con un’eredità pesante del passato. Dovremmo iniziare a considerare realtà come questa, che hanno avuto meno incrostazioni. Guardare alla Cina può essere utile, ma dobbiamo renderci conto che non è solo una crisi dell’automotive, ma una crisi di sistema, culturale.
Senza questo cambio di passo, quale è il suo scenario?
Se l’Europa non si reinventa, temo che sia destinata a un declino simile a quello dell’Africa.
(Paolo Rossetti)
— — — —
Tags: Ursula Von Der Leyen