Lodovico Festa, considerato uno dei più sagaci pensatori politici italiani e mio amico di lunga data, ha l’abilità di formulare aforismi che, nella loro semplicità, riescono a catturare l’essenza universale di complesse realtà, un talento che ricorda quello di illustri figure come Vilfredo Pareto e Gaetano Mosca. Uno dei suoi pensieri, che ritengo particolarmente pertinente per analizzare il ruolo e il destino dell’Unione Europea in seguito alla turbolenta ma significativa rielezione di Ursula von der Leyen, recita: “Quando mancano politici al di sopra delle parti, non resta che optare per quelli al di sotto di esse”, riferendosi a entità come aziende, organizzazioni, partiti, o istituzioni.
Nel caotico scenario del Parlamento Europeo, con la menzionata rappresentante del PPE già presente, e di fronte a un disastro imminente — con tutto che sembra sgretolarsi, compresa la burocrazia celestiale che tutto decide e controlla — non vi era la necessità di cercare alternative. Da qui la sua rielezione, sebbene con un margine risicato e con una crescente frammentazione dei gruppi politici all’interno di quel Parlamento solo di nome (poiché non ha il potere di emettere leggi vincolanti, ma solo di approvare o respingere direttive della burocrazia onnipresente). Partiti che a livello nazionale sono in decadenza in Francia a causa dell’influenza di Macron, in Germania per l’incapacità di distaccarsi dal potere consolidato da Merkel, da quando, all’inizio del nuovo millennio, la Russia è stata prima depreda liberalmente dall’anglosfera e poi abbandonata dopo le iniziali speranze di integrazione, sostituite da un nuovo nazionalismo imperialistico da parte russa e un inquietante roll back da parte statunitense, al quale l’UE non ha saputo opporsi efficacemente senza una politica competitiva e di difesa del patrimonio industriale europeo.
Invece di intraprendere azioni decisive, l’UE si è persa in transizioni utopiche che, paradossalmente, hanno contribuito a distruggere ciò che già esisteva. Tutto è stato sacrificato sull’altare della retorica ecologista (come dimostrato dai voti dei più ardenti sostenitori della neo-Presidente) e della frenesia regolativa che blocca ogni forma di innovazione e rinnovamento, soffocando l’imprenditorialità mentre si favoriscono gli interessi rentier.
La guerra continua ad infiammarsi in Ucraina e nel Grande Medio Oriente, senza che nulla cambi veramente. L’elezione di Trump come Presidente degli USA ha modificato soltanto il peso relativo delle destre in Europa e la rassegnazione dei socialisti, che dopo Timmermans e Scholz sembrano aver esaurito le opzioni, mentre le correnti neoconservative e reazionarie cercano supporto istituzionale e posizioni di potere a ogni costo.
Certamente esistono eccezioni a questo trasformismo politico in tutti gli schieramenti in Europa, ma l’atmosfera generale è quella di una partita conclusa, per citare il grande Beckett.
Immersi fino al collo nella sabbia, con soltanto la testa fuori che continua a parlare di transizione mentre l’unione bancaria non avanza, il debito comune per investimenti competitivi e per la riattivazione congiunta dell’industria continentale viene sostituito da nuovi bonus e nuovi regolamenti. Il divario con gli USA si allarga e la crisi endemica della bomba demografica cinese inizia a presentare il suo conto in un mondo sull’orlo dell’abisso, accumulato da cinquant’anni di fallimenti dell’UE.
E dopo le guerre di sterminio nei Balcani, ora ci attendono quelle “quasi atomiche”, mentre i veri problemi (migrazioni continue, crescenti disuguaglianze sociali, anomia e angoscia sempre più intense nelle anime degli abitanti di terre sempre più a rischio) rimangono lì dove erano da anni.
Benvenuta signora von der Leyen.
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